Re Niliu a Palomonte, 1980

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Palomonte 25/26 dicembre 1980

Sono otto foto.

Otto foto sono.

Una è più gialla. Perché è stata esposta al sole sempre, appesa al muro in casa mia a Catanzaro dal 1980 al 1988. L’anno in cui sono partito per Bergamo. Ci siamo io, Sergio e un suonatore di Palomonte. E chi se lo ricorda il nome? Ci riesci tu dopo trentasette anni? Io non sono capace. Ha una bella faccia da montanaro. Me lo ricordo che friggeva peperoncini nella neve della montagna, lontano dal paese e diceva ai volontari che volevano lasciargli qualcosa da mangiare: «Non abbiamo bisogno di nulla, vi ringraziamo… sì vengo a suonare stasera al paese… vengo, state sicuri …»

Al muro una zampogna a chiave appesa. Sul volto una dignità enorme. Una dignità infinita nella disgrazia totale di un paese stroncato dal terremoto.

«Grazie della gentilezza vostra ma noi abbiamo questi belli peperoncini, stiamo bene…»

Intorno a quei peperoncini, nell’olio caldo, solo neve e macerie.

Era il giorno di Natale del 1980 quando ci arrivò una telefonata. Re Niliu… siamo i volontari di Bra a Palomonte… siete il gruppo più vicino che possiamo chiamare fra quelli che conosciamo… venite a suonare… un po’ d’allegria ci vuole.

Partimmo senza nemmeno pensare a che avremmo dovuto portarci. Era un inverno gelato e nevoso e meno male che almeno non  dimenticammo le giacche nella fretta della partenza.

Natale a Palomonte.

Arrivammo che era buio la sera del venticinque e ci dissero di metterci in fila per la cena di fronte al carro-cucina dei volontari. Ci mettemmo in fila in un silenzio completo, nostro e della gente. Da qualche parte la luce  spettrale gialla di qualche lampada da campo. Arrivò il mio turno e da sopra, da dietro quel banco a vetri che ricordava quelli dei panini alle sagre dei paesi qualcuno mi allungò un piatto di plastica e dentro una carne simmenthal scodellata dal barattolo.

Io pensai “odio la carne simmenthal, non la voglio la carne simmenthal… non c’è altro?” Alzai lo sguardo, non era una sagra. Non c’era altro se non quella fila, quel silenzio, una cornice senza fine di macerie, il carro-cucina e quelli dopo di me che si chiedevano che cosa fissavo a fare il piatto imbambolato. “E’ buona la carne simmenthal, ora me la mangio la carne simmenthal… sì”

Ero molto impressionato e mi chiedevo che cosa invitavano musicisti fare in quel silenzio di lutto. Ci preparammo a dormire nelle tende della protezione civile, ci diedero brande e sacchi a pelo che in quella situazione ci parvero un privilegio. Al risveglio avevamo tutti la faccia coperta di brina. Noi calabresi e cittadini eravamo interdetti, era una cosa nuova. I volontari piemontesi e montanari giocavano e scherzavano con le barbe brinate.

Il giro fra le macerie fu impressionante. La chiesa con l’orologio fermo alle sette e dieci, il vecchio campanile lesionato ma non crollato, le case ridotte a cumuli di pietre, un’arco tenuto in piedi da un palo, una porta semiaperta su un nulla.Pala3

La sera era già buio che partimmo a suonare fra le roulotte e le tende. La gente zampillava fuori stupefatta. Io avevo molto timore e rispetto. Al Sud il lutto è rispetto, il lutto è rispetto del dolore, il lutto è una cultura della morte e una risposta sacra alla morte. Avevo timore nel violare il lutto di quella gente. Il gruppo iniziò a passare suonando. Così ci avevano chiesto gli amici di Bra. Da ogni tenda, da ogni roulotte iniziò a uscire qualcuno. Le anziane vestite di nero si portavano pure dietro la sedia perché andavamo al tendone. Un grande tendone, con un riscaldamento ad aria rumorosissimo e senza amplificazione. Volevi pure l’amplificazione? Furono bravi i volontari di Bra che si buttarono subito a ballare prendendo giovani e anziani per la mano. Non ci credevo. Ballarono tutti. Forse proprio il fatto che fosse il lutto di tutti azzerò la vergogna di ognuno, quella che poteva sembrare una mancanza di rispetto ai morti.

Una festa straordinaria. Dolcissima, bellissima, struggente. Un ricordo così caro che anche la forza commossa della memoria teme di sciupare.

Ettore Castagna

Foto di Emilio Rinaldo

Queste  brevi memorie sono dedicate all’amico Simone Valitutto di Palomonte

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