In a Cosmic Ear… piccola epica di un testo

E’ ovvio che le canzoni non nascono tutte uguali. I testi soprattutto. Una volta Ivano Fossati mi disse che bisogna scrivere dopo tanto tempo perché gli anni dilavano, lasciano solo l’essenza delle cose. Io aggiungo che gli anni cambiano. Sporcano di nostalgia o condannano alla rimozione. Ma non conta. Alla fine non conta. Ho conosciuto Antonino Mazza tanti anni fa. Era Toronto, avevo trent’anni e parlavamo guardando il lago Ontario. Una corte infinita di grattacieli davanti a noi. Una corte di grattacieli dalla finestra di casa sua. Che piano? Il dodicesimo? il quindicesimo? Non so, non ricordo. So solo che avevo paura perché il grattacielo si muove quando lo colpisce il vento e io a stare in un grattacielo non sono abituato. “Sai che diceva mio padre? Li vedi questi palazzi in fila davanti al lago, tutti illuminati? Sono belli… Sì sono belli… Non lo sai quanto ferro e cemento a sacchi abbiamo portato. Tutto su queste spalle, figlio. Che ne puoi sapere tu della fatica…” Nino gli lucevano gli occhi per il racconto e per il padre. L’orgoglio del lavoro, della costruzione, della fatica, della dignità. Quanta magnifica bellezza in quel racconto. Ci ho ripensato tanti anni dopo. Forse trent’anni dopo. E ci ho scritto sopra una canzone. In a Cosmic Ear. Inizia con le parole di Antonino. In un Orecchio Cosmico. Così dice una sua bella poesia che parla di viaggio, emigrazione, trasformazione e la Calabria è una metafora di un Sud che è tutti i Sud. Poi continua con le parole mie. Che credo siano pure un po’ sue. E di tutti quelli che hanno vissuto una Calabria diversa, un altro Sud in giro per il mondoNino Mazza